Un mantello verde a primavera, che avvampa di colori d'autunno

Boschi

Un mantello verde a primavera, che avvampa di colori d'autunno

La copertura boschiva del Parco del Marguareis è notevole e comprende estese foreste di alberi da seme.

Faggeta | Archivio APAM

I boschi del Parco si concentrano nella fascia montana e si possono schematicamente suddividere in:


Boschi di fondovalle

I boschi di fondovalle sono ben rappresentati in Valle Pesio, dove i più diffusi sono i castagneti, i boschi misti di latifoglie e i querceti, che, nell’insieme, fanno da corona alla Certosa di Pesio. I castagneti del Parco rientrano nella zona italiana che possiede i più grandi boschi di castagno di tutta Europa. All’interno dell’area protetta i castagneti in purezza sono molto ridotti e le altre essenze boschive stanno recuperando gli spazi ecologici perduti. Ciò si deve, soprattutto, al progressivo abbandono della montagna e ad alcune malattie dei castagni diffuse in tutta Europa come il cancro della corteccia e la malattia dell’inchiostro. Il castagno più suggestivo e, forse, anche il più anziano del Parco è posto alla Cascina San Michele e si presenta nella forma tipica dei vecchi esemplari, con il tronco fortemente incavato. La pianta senz’altro più veloce nel reinsediarsi è la betulla, Betula pendula, albero eliofilo (amante della luce) facilmente riconoscibile per la corteccia bianca. I querceti del Parco sopravvivono sui versanti più caldi di piccole aree rocciose dal suolo poco fertile che, per questi motivi, non sono state nel tempo convertite in castagneti; gli esempi più significativi si trovano presso Madonna d’Ardua, i “Bagni” del Vallone Cavallo, Testa e Serra del Pari. Se gli uomini non avessero introdotto i castagni, i querceti a Quercus petraea, la rovere, sarebbero assai più diffusi sui suoli acidificati, quali sono, per lo più, quelli che contornano la Certosa.


Boschi di latifoglie nobili

Si tratta di boschetti un po’ frammentati, ma dalla vegetazione lussureggiante, che in Valle Pesio, grazie alle particolari condizioni climatiche, si presentano molto rigogliosi: in pochissimi metri quadrati è possibile contare oltre 50 specie diverse di erbe, arbusti e alberi. Sono i boschi misti di latifoglie detti anche boschi di gola, perché posti nelle zone più ombrose e fresche, che circondano il fiume Pesio e i suoi affluenti. Gli alberi che compongono questi boschi (aceri, olmi, tigli, ciliegi selvatici, frassini), si trovano sempre frammisti, mai in purezza, e in campo forestale vengono definiti “di latifoglie nobili”. Tale termine è stato attribuito per sottolinearne la presenza non comune, la richiesta di un suolo dotato di buona fertilità, e il legno di pregiata qualità. Altri alberi che troviamo in questi boschi, dal legname meno pregiato o di minori dimensioni, ma sempre di grande rilevanza ecologica, sono l’Acer campestre, il Carpinus betulus, dal potere calorifico persino superiore al faggio, il salicone, Salix caprea, l’Alnus glutinosa, e verso il fondovalle, altri salici: Salix alba ed eleagnos, con i meno comuni Salix aurita e daphnoides; oltre a pioppi, Populus nigra, tremula e il raro canescens, dai caratteri intermedi tra gli ultimi due.


Faggete

Il faggio è la latifoglia più importante del Parco, perlomeno sotto il profilo quantitativo. In Piemonte il faggio la specie arborea più diffusa dopo il castagno, ma solo sulle Alpi sudoccidentali le faggete sono rappresentate in purezza. Esse forniscono un legname di ottima qualità calorifica.

Nel Parco le faggete occupano circa 600 ettari, il doppio se si conta anche la superficie delle formazioni boschive in cui il faggio è presente in maniera non predominante (abetine, boschi misti, ecc.). La collocazione dei boschi di faggio è posta sopra i 900 metri ma, in realtà, è artificiale. Soprattutto in Valle Pesio, la coltivazione del castagno non ha infatti consentito alle faggete di affiancare i querceti a quote inferiori. Le faggete del Parco sono quasi tutte a ceduo, salvo pochi ettari a fustaia, difficilmente accessibili, per cui la coltivazione è stata abbandonata perché antieconomica. La ceduazione ha origini antiche: già certosini e valligiani sfruttavano questi boschi non solo per uso domestico ma anche per rifornire fornaci, fabbriche di vasi, martinetti. Nel Parco non esistono faggi di enormi dimensioni. Vicino al Villaggio d’Ardua, presso Pian Gambin, sopravvive stoicamente alle vigliacche incisioni di turisti maleducati un esemplare quasi centenario di bel diametro.


Boschi di conifere

All’aumentare della quota, si trovano le conifere: in Valle Pesio domina l’abete bianco (Abies alba), nella Valle di Carnino il pino uncinato e nel Vallone di Upega il larice. Le abetine del Prel e del Buscaiè e la lariceta del Bosco delle Navette sono tra i primi boschi italiani iscritti nel Libro nazionale dei boschi da seme.

L’abete bianco, Abies alba, è un essenza arborea di notevoli dimensioni dalla chioma con gli aghi “pettinati”. La cima, quando l’albero supera il secolo di vita, forma, per il blocco della crescita dell’apice della pianta, il cosiddetto “nido di cicogna”. Tale aspetto, negli abeti bianchi della Valle Pesio, è scarsamente presente perché, fino alla costituzione del Parco, l’opera di disboscamento ha portato a un taglio eccessivo di alberi, tra cui quasi tutti gli abeti più antichi. Ciò, fortunatamente, non ha compromesso la struttura di queste meravigliose abetine, tra le più interessanti dell’intero arco alpino. L’esuberante rigoglio delle abetine si deve a due fattori essenziali; il primo fattore è ecologico: se le condizioni pedoclimatiche della Valle Pesio sono ottime per il faggio, per l’abete bianco sono eccezionali. Basti dire che la velocità di accrescimento in altezza e diametro di queste abetine non ha eguali in Piemonte. Il secondo fattore è…religioso; la presenza dei certosini, con la loro particolare filosofia monastica, ha portato notevoli innovazioni nell’organizzazione e nelle tecniche agricole e di selvicoltura, ha fatto si che l’abete bianco fosse preservato e incrementato. Le abetine del Parco occupano più di 700 ettari.

Nel Parco l’abete rosso, Picea abies, è presente in forma quasi relitta, mescolato al dominante abete bianco; dei pochi nuclei in purezza, ridottissimi, uno è osservabile presso il Pis del Pesio. Questa valle risulta, così, il limite meridionale dell’areale alpino di questa specie. La Valle Pesio ospita anche il pino cembro, Pinus cembra. Di cembrete, però, non si può parlare; nuclei un po’ consistenti si individuano sulle punte di Sestrera e Biecai. Quest’ultima località, era definita un tempo Piecal, che nella antica lingua occitana significa “zona rocciosa contornata da pinete”. Ciò giustificherebbe l’idea di un ridimensionamento, in epoca non troppo lontana, della presenza di cembro, a vantaggio dei pascoli.

La pineta delle Larzelle di Carnino, in alta Val Tanaro, costituisce un raro esempio in Piemonte di bosco di pino uncinato, Pinus mugo subsp. uncinata, nella forma arborea. Nel Parco il pino uncinato è maggiormente diffuso nella forma arbustiva, ormai quasi invadente nei pascoli subalpini, da non confondere, però, con il raro pino mugo, Pinus mugo subsp. mugo, un’essenza arbustiva, di notevole pregio fitogeografico, rifugiato nella Conca delle Carsene e Colla Carbone.

La lariceta del Bosco delle Navette si estende per 2770 ettari sopra l'abitato di Upega, in alta Val Tanaro ed è uno dei boschi di larice più pregiati, belli ed estesi delle Alpi Occidentali. Il nome deriva dal fatto che anticamente il legno da esso ricavato veniva utilizzato per la costruzione di barche e navi nella vicina costa ligure. Dal 2016 il Bosco delle Navette è stato posto sotto la tutela del Parco.

Ultimo aggiornamento: 11/11/2022

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