In cerca della verticale

L’esplorazione alpinistica

In cerca della verticale

Belle montagne di roccia brutta, che hanno lasciato il segno nella storia dell'alpinismo.

La severa parete dello Scarason e il Marguareis | Archivio APAM, G. Bernardi

Alla periferia della catena alpina e già in odore di Mediterraneo, le Alpi Liguri hanno avuto vicende alpinistiche un po’ frammentarie e in ritardo rispetto agli altri settori alpini. La fase pionieristica è mancata quasi del tutto perché le cime maggiori hanno vie normali prive di difficoltà, già percorse chissà quando da pastori o cacciatori locali.

Le prime scalate di un certo rilievo sono state realizzate negli anni '40 e '50 del Novecento sulle imponenti bastionate settentrionali del Marguareis, a opera soprattutto del monregalese Sandro Comino e del torinese Armando Biancardi. Si tratta di salite notevoli non tanto per le difficoltà superate, quanto per la qualità della roccia, che, alternando tratti friabili ad altri compattissimi, rende particolarmente difficile la progressione. Nel 1967 viene compiuta un’impresa storica: i giovani e fino ad allora sconosciuti Alessandro Gogna e Paolo Armando vincono in tre giorni di arrampicata la formidabile muraglia strapiombante dello Scàrason.

Al di fuori del Massiccio del Marguareis, l’esplorazione alpinistica procede a rilento: la bella parete nord della Cima delle Saline, molto meno impegnativa dello Scarason, viene vinta soltanto nel 1968 a opera dei savonesi Carlo Aureli e Mauro Mattioli. D’altra parte anche le vie del Marguareis, dopo le prime ascensioni esplorative, non sono mai state molto frequentate, a causa dell’ambiente cupo e severo e della qualità – ehm – variabile della roccia. Soltanto i canaloni di neve che interrompono in alcuni punti la gigantesca bastionata (i canaloni dei Savonesi, dei Torinesi, dei Genovesi e dei Pancioni), sono diventati itinerari classici. Nel 1987 la strapiombante parete dello Scarason balza nuovamente all’onore delle cronache poiché i liguri Sergio Calvo, Andrea Parodi e Fulvio Scotto vi tracciano un’impegnativa via diretta effettuando ben tre bivacchi su amache sospese nel vuoto.

Nel frattempo, con l’avvento dell’arrampicata sportiva e della chiodatura con trapano e spit, si aprono nuovi orizzonti: le nuove generazioni incominciano a cercare placche compatte e soleggiate sulle quali arrampicare senza troppi rischi e sofferenze. Vengono scoperte e attrezzate nei primi anni ‘90 le splendide strutture rocciose dell’alta Valle Tanaro, in particolare sulle pareti del Mongioie.
Nel 2011 il solito Fulvio Scotto e Gabriele Canu scrivono un ultimo (per ora) visionario capitolo sulla parete dello Scarason, aprendo la via "Nella tana del drago". Una salita di puro carattere esplorativo, su roccia spesso friabile e frammista a erba, con lunghi tratti difficilmente proteggibili. Ma è una via che lancia un messaggio forte e chiaro: il nome si richiama all’”articolo-manifesto” di Reinhold Messner su Alpinismus nel 1968 ribadito un anno dopo da Claude Barbier sulla parete del Lagazuoi ed esprime profondo disappunto per chi vorrebbe ridurre un sito storico dell’alpinismo quale lo Scarason alla stregua di una qualunque falesia sulla quale installare un cantiere, salendo in artificiale con sistematica trapanatura, laddove non si è ancora riusciti, a tutt’oggi, a salire secondo i canoni dell’avventura alpinistica.

Ultimo aggiornamento: 20/10/2022

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